«Una malattia immaginaria è peggio di una malattia».
Antico proverbio Yiddish
Anche chi non è malato, a volte pensa e si comporta come se lo fosse e spesso, purtroppo, il comportarsi “come se” una realtà fosse vera conduce concretamente a realizzarla.
La paura delle malattie anche se psicologica, crea sofferenza autentica, fa vivere male e limita intensamente la sfera personale, famigliare e lavorativa (Nardone, Bartoletti, 2018).
Il drammaturgo francese Moliére, con il suo famosissimo personaggio di Argante, in “Il malato immaginario”, magistralmente interpretato da Alberto Sordi nell’omonimo film, ci presenta una chiara descrizione dei comportamenti e degli atteggiamenti del soggetto ipocondriaco.
Il medico inglese George Cheyne, agli inizi del ‘700, nel suo libro “The english malady“, descriveva l’ipocondria come una serie di sintomi che delineavano lo stile di vita dell’aristocrazia di un tempo, ovvero lamentosità petulante, meteoropatia e diffuso malessere fisico, soprattutto digestivo.
L’ipocondria è un disturbo molto diffuso anche ai giorni nostri e, ad oggi, sembra essersi ulteriormente evoluta, proprio perché le conoscenze mediche e gli strumenti diagnostici di cui disponiamo sono diventati molto più precisi.
Come diceva Eraclito: “Nulla intimorisce di più l’uomo delle proprie sensazioni”, e la persona che soffre di ipocondria vive nella costante preoccupazione, o addirittura nella convinzione, di avere una grave malattia, basando tale credenza ingiustificata sull’errata interpretazione dei propri sintomi fisici.
Più la diagnosi medica è negativa, più il soggetto si convince di non ricevere le cure adeguate o che il suo male sia talmente oscuro che le tecniche diagnostiche non siano in grado di rilevarlo. In alternativa, potrebbe arrivare a convincersi che i medici abbiano confuso il suo referto con quello di qualcun altro, e tale dubbio lo indurrà a continuare a sottoporsi a nuovi controlli e ad ulteriori accertamenti.
Come può apparire evidente, le malattie verso le quali l’ipocondriaco si orienta sono usualmente quelle con cui la medicina mostra i maggiori limiti sia preventivi che terapeutici, come i tumori, le gravi malattie virali, la sclerosi multipla ecc.
Non ci si ammala di fissazioni ipocondriache per l’influenza o il raffreddore, ma solo in relazione a patologie con lento e sofferto decorso sino alla morte.
Ciò che rende questa patologia fobica estremamente gravosa è che la persona si trova senza via di scampo, in quanto non può evitarla come si potrebbe fare per altre situazioni oggetto di fobia.
In questi casi infatti, si potrebbe dire che a nessuno è concesso di evitare la peggiore delle compagnie, cioè quella di se stesso (Nardone, 2000).
Il DSM-5 suddivide i problemi ipocondriaci in due classi: una in cui c’è la prevalenza di fastidi fisici, e una in cui i sintomi somatici sono sullo sfondo, mentre prevale la paura.
La prima categoria, denominata Disturbo da sintomi somatici, include alcuni criteri diagnostici:
– sono presenti uno o più sintomi somatici, specifici (per esempio un dolore localizzato) o aspecifici (per esempio stanchezza), che procurano disagio e alterazioni significative della vita quotidiana
– i soggetti con sintomi somatici tendono ad avere un’elevata preoccupazione riguardante la malattia (pensieri sproporzionati e persistenti, livello d’ansia costantemente elevato e tempo ed energie eccessivi dedicati a questi sintomi o a preoccupazioni riguardanti la salute)
I criteri diagnostici, sempre secondo il DSM-5, per definire il Disturbo da ansia di malattia, sono invece i seguenti:
– una marcata preoccupazione di avere o di contrarre una malattia non diagnosticata
– sintomi somatici assenti oppure di lieve intensità
– livelli molto alti di ansia e eccessivi comportamenti correlati alla salute (per esempio, controllare ripetutamente il proprio corpo cercando segni di malattia), ricerche eccessive sulle malattie di cui si sospetta, richiesta di rassicurazioni a famigliari, amici, medici, o evitamento disadattivo (come ad esempio, evitare visite mediche e ospedali o tutto ciò che potrebbe mettere a repentaglio la salute).
Per “tentate soluzioni” si intendono, in Terapia Breve Strategica, tutti quei comportamenti che una persona mette in atto nel tentativo i risolvere un suo problema, ma che in realtà finiscono per complicarlo e farlo peggiorare ulteriormente.
Nel caso dell’ipocondria, la tentata soluzione prevalente messa in atto dai soggetti è, come nel caso degli attacchi di panico, il “tentativo di controllo che fa perdere il controllo“.
Le persone ipocondriache vivono infatti nell’ascolto compulsivo del proprio corpo, per essere pronte a rilevare i minimi sintomi e poter intervenire il più rapidamente possibile.
Il monitorarsi di continuo le condurrà tuttavia, a scoprire sicuramente qualche indicatore di patologia, proprio secondo il principio del “chi cerca trova“.
Questi soggetti inoltre, usualmente, socializzano e si lamentano in continuazione del loro malessere e sono grandi cultori di riviste pseudomediche, Internet e programmi televisivi di medicina, poiché costantemente alla ricerca di notizie sul loro “male oscuro”.
Un’altra caratteristica che accomuna le persone che soffrono di ipocondria è la tendenza all’evitamento, ad esempio vengono evitate visite, prelievi, operazioni mediche per paura di scoprire di avere una malattia, o vengono evitate specifiche situazioni, come l’attività fisica, i bagni pubblici per paura di infettarsi di virus o batteri, le sale d’aspetto mediche dove si possono incontrare pazienti potenzialmente contagiosi, o i viaggi in determinati paesi a rischio di epidemie.
A queste tentate soluzioni, si aggiunge una cieca fiducia nella scienza medica, unita ad una costante richiesta d’aiuto selezionato, ovvero solo da parte specialisti.
Queste persone instaurano vere e proprie relazioni intime con i loro medici e spesso non si accontentano di un solo consulto. Ripetono inoltre continuamente analisi e test diagnostici per essere certe del loro esito.
Il fallimento di queste strategie risolutive alimenterà la sensazione e la convinzione di essere ammalati e, purtroppo, come spesso accade, lo stress elevato a cui i soggetti ipocondriaci costantemente si sottopongono li porterà inevitabilmente ad abbassare le difese immunitarie e a sviluppare delle somatizzazioni o delle reali patologie organiche.
Mentre l’ipocondriaco si spaventa per qualunque minima alterazione del proprio organismo, trasformando ogni dolore in un sintomo certo di patologia organica, il patofobico usualmente si fissa su una singola e specifica forma di pericolo per la salute e la combatte in maniera ossessiva.
Mentre gli ipocondriaci temono la sofferenza e sono abbastanza convinti di essere ammalati, i soggetti patofobici, in genere, temono di potersi ammalare e adottano tutta una serie di precauzioni per evitare di contrarre una malattia.
La paura può essere così intensa da portare la persona ad evitare qualsiasi contatto, anche di tipo informativo, con le malattie, come ad esempio trasmissioni televisive, notizie, informazioni su Internet o addirittura conversazioni riguardanti questo tema.
Il patofobico evita completamente, o tende a rimandare il più possibile, qualsiasi tipo di controllo medico necessario, il suo motto potrebbe essere: “Ho così tanta paura delle malattie, da non riuscire nemmeno a guardarle in faccia” (Nardone, Bartoletti, 2018).
In Terapia Breve Strategica, una volta indagato il funzionamento del problema e riconosciute le tentate soluzioni prevalenti, ci si avvale di un protocollo di trattamento specifico per il disturbo sul quale si deve intervenire.
L’obiettivo, con i pazienti che soffrono di ipocondria, è principalmente quello di aiutarli a ripristinare un contatto non ansioso e non catastrofista con il proprio corpo e con le proprie sensazioni.
Una tecnica molto utilizzata, che produce un effetto paradossale poiché annulla le sensazioni spaventose, è la cosiddetta prescrizione del “check-up ipocondriaco”, e consiste nel chiedere al soggetto di automonitorarsi frequentemente durante la giornata, annotando di volta in volta i sintomi di malattia.
In altri termini, si prescrive al paziente di andare in bagno tre volte al giorno, al mattino, dopo pranzo, alla sera, e davanti allo specchio, procedere ad un’attenta ispezione di tutte le sensazioni provenienti dal suo corpo, segni sicuri di una patologia emergente, specificando bene il sintomo indicatore e il tipo si malattia ipotizzata.
Allo stesso tempo, si mette “una paura più grande contro una paura più piccola” e si fa in modo che il paziente interrompa le continue richieste di rassicurazione attraverso diagnosi e consulti specialistici, dimostrandogli come la prevenzione attiva possa alimentare concretamente la sua patologia.
Se la persona tende a lamentarsi spesso del suo problema, con parenti e amici, la si inviterà anche a mantenere la “congiura del silenzio“, concedendole eventualmente di parlarne per mezz’ora soltanto, ogni sera dopo cena.
Per interrompere la ricerca di rassicurazioni attraverso il web inoltre, si negozierà con il paziente una nuova regola da seguire, ossia ogniqualvolta sentirà l’esigenza di acquisire informazioni su Internet, potrà scegliere di non indugiare in tale ricerca oppure dovrà approfondire tutte le informazioni mediche che riesce a trovare per 59 minuti esatti.
Se vuoi sapere qualcosa di più sulla cybercondria e il suo trattamento attraverso la Terapia Breve Strategica, ti consiglio di guardare questa interessante intervista di Cristina di Loreto a Alessandro Bartoletti, presentata all’interno del cicli di incontri Esperienze Strategiche.
La paura di avere un infarto, un ictus o un problema pressorio è la più frequente fobia ipocondriaca.
La persona che ha questi timori teme una morte repentina e fulminante e, pertanto, cercherà continuamente rassicurazioni mediche, si sottoporrà a ripetuti esami cardiologici, o adotterà una serie di precauzioni per abbassare il rischio di eventi cardiaci, come ad esempio evitare l’attività fisica.
La cardiofobia spesso si associa al disturbo da attacchi di panico, o può essere una condizione riguardante pazienti che hanno sofferto di problemi cardiovascolari.
Una tecnica che viene abitualmente usata, in Terapia Breve Strategica, per trattare questo tipo di problema è il cosiddetto “diario del cuore“.
Si prescrive al paziente di eseguire, ogni giorno e ad ogni ora, un controllo sistematico del suo cuore. Egli dovrà rilevare il battito cardiaco, ascoltando il polso e prendendone nota, e ripetere questa procedura per tre volte, con un minuto di intervallo tra una rilevazione e l’altra.
Questo trattamento procede mantenendo la prescrizione, ridotta però a una frequenza di due, tre ore ecc., nelle sedute successive, fino ad utilizzarla esclusivamente “al bisogno”.
Le persone, attraverso questa manovra, spesso si sorprendono di come in realtà il loro cuore funzioni normalmente e ciò produce un'”esperienza emozionale correttiva” rispetto alle precedenti convinzioni fobiche.
Successivamente, mantenendo un monitoraggio costante, le si guiderà anche a contro-evitare le situazioni ritenute pericolose per salute, ad esempio, facendogli fare una rampa di scale, una camminata veloce o un giro in bicicletta.
Se vuoi approfondire ulteriormente il tema della cardiofobia, ti consiglio di leggere anche questo interessante articolo di Daniela Ambrogio, psicologa e psicoterapeuta selezionata del Centro di Terapia Strategica di Arezzo.
«La paura delle malattie: il più umano dei nostri timori».
Alessandro Bartoletti
Riguardo al tema dell’ipocondria un libro molto recente che consiglio di leggere è “La paura delle malattie: psicoterapia breve strategica dell’ipocondria”, di Giorgio Nardone e Alessandro Bartoletti (Milano, Ponte alle Grazie, 2018).
Si tratta di un testo decisamente tecnico, ma anche scritto in maniera chiara e accessibile, che descrive la sindrome ipocondriaca, le sue varianti e le sue principali tentate soluzioni, sulla base dei risultati del lavoro trentennale di ricerca-intervento svolto dal Centro di Terapia Strategica di Arezzo.
Il libro tratta in maniera approfondita le origini del termine “ipocondria”, la sua genesi e il suo inquadramento diagnostico.
Presenta inoltre, una classificazione psicologico-strategica delle varie forme di ipocondria, ovvero ipocondria fobica (o evitante), ipocondria classica (o mutaforme), ipocondria somatica (o ossessiva), ipocondrie varie e “di mestiere”, e descrive le più comuni fobie ipocondriache, quali cardiofobia (paura dell’infarto/ictus), patofobia (paura di una specifica malattia), tanatofobia (paura della morte), iatrofobia (paura della sofferenza fisica) e negazione di malattia.
Le tecniche terapeutiche messe a punto per trattare queste tipologie di disturbo sono il frutto di una prolungata sperimentazione sul campo che ha coinvolto migliaia di casi trattati, la cui applicazione non si è limitata al solo contesto italiano, ma è stata estesa anche a numerosi altri paesi. Ciò ha permesso anche la verifica transculturale della validità ed efficacia dei protocolli di trattamento formalizzati.
E’ un testo che sicuramente consiglio perché ha lo scopo di far luce su come sia possibile risolvere in tempi brevi anche una così sofferta patologia mentale, attraverso strategie e stratagemmi terapeutici studiati ad hoc per scardinarne il funzionamento.
All’interno del quinto e ultimo capitolo, sono riportate le trascrizioni di reali terapie effettuate presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo: un caso di paura riguardante la pressione arteriosa e un altro riguardante il timore dei tumori, affinché il lettore possa realmente rendersi conto di come si possano facilmente risolvere anche forme così severe e resistenti di ipocondria, recuperando il contatto diretto con il proprio corpo.
Per approfondire, puoi guardare anche questa interessante conferenza del ciclo di incontri gratuiti Esperienze Strategiche, a cura di Cristina Di Loreto, in cui si è parlato con Alessandro Bartoletti della paura delle malattie da Ippocrate a oggi.