«Esistono tante realtà quante se ne possono inventare».
Oscar Wilde
Le monofobie che incontro attualmente, durante la mia pratica clinica, sono spesso varie e molto originali: belonefobia, ovvero la paura degli aghi, amaxofobia, ovvero la paura di guidare, coulrofobia, ovvero la paura dei clown, solo per citarne alcune.
Parafrasando l’aforisma di Oscar Wilde potremmo affermare come esistano tante paure quante se ne possono inventare, poiché come non esistono limiti alla nostra fantasia, così non esistono limiti alla nostra capacità di inventarci paure.
Quello che più mi stupisce, ogni volta, è come i pazienti siano sempre perfettamente e informati sul loro disturbo, tanto da arrivare in prima seduta portandomi già una diagnosi chiara e precisa.
Nel caso delle monofobie o fobie specifiche, la paura del soggetto non è dilagante, bensì focalizzata su una singola realtà (un animale, un oggetto, un rumore ecc.).
La persona quindi, subisce questa emozione solo in relazione a determinate situazioni esterne, ma generalmente non risulta compromessa nelle sue normali attività.
Qualunque cosa potrebbe diventare oggetto di paura (gli angoli, i pomodori, i ragni, le bambole ecc.), ma tra le fobie specifiche ne esistono alcune particolarmente ricorrenti, come la paura di volare, la paura di perdere persone care o la paura di animali (ragni, serpenti, cani, piccioni ecc.).
Le tipologie di paura sembrano cambiare ed evolversi in relazione al nostro stile di vita, per cui al giorno d’oggi, le fobie specifiche più comuni sono assai diverse rispetto a quelle che si presentavano secoli fa.
All’interno del DSM-5, vengono elencati alcuni parametri per soddisfare la diagnosi di monofobia o fobia specifica:
Sempre secondo il DSM-5, è molto comune incontrare pazienti con fobie specifiche multiple (75% dei casi).
Inoltre, spesso le monofobie si sviluppano a seguito di un evento traumatico o un attacco di panico che avviene proprio in quella che diventerà la situazione temuta (ad esempio, la metropolitana). Non sono pertanto delle patologie tipiche dell’infanzia o dell’adolescenza, ma possono manifestarsi a qualunque età.
Di seguito, vi presento alcune delle più moderne forme di monofobia.
Le prime tre, che vengono anche brevemente descritte, sono elencate in ordine di frequenza, ossia in base alla loro diffusione all’interno della popolazione. Tale classifica deriva dalla rilevazione empirica effettuata dal Centro di Terapia Strategica di Arezzo (Nardone, 2003), dopo diversi anni di ricerca sui disturbi fobici.
È una monofobia che spesso si associa all’acrofobia, ovvero la paura dell’altezza, ma anche alla claustrofobia, poiché essendo l’aereo uno spazio chiuso e stretto da cui è impossibile uscire a proprio piacimento, espone alla sensazione di essere imprigionati. Oggi poi, a queste due forme di paura, dovremmo aggiungere anche quelle relative agli incidenti o agli atti terroristici, che fanno vivere il volo aereo come un’esperienza potenzialmente pericolosa e minacciosa in ogni istante.
Molti pazienti riescono a “sopravvivere” alla paura di volare e magari non sentono neppure l’esigenza di risolverla. Spesso infatti mentono anche a se stessi, affermando come tanto viaggiare non gli interessi più di tanto o come esistano in Italia così tante bellezze da non riuscire a comprendere perché la gente voglia recarsi in luoghi stranieri.
Sarà la verità? Chissà…
Devo dire che a me questi discorsi ricordano tanto la storiella di Esopo “della volpe e l’uva”, nella quale si racconta di come, poiché la volpe non riusciva a saltare così in alto da afferrare il frutto, inizi piano piano a persuadersi del fatto che sia acerbo.
La paura di volare è una delle più in voga negli ultimi anni, cosa che sicuramente rispecchia l’evoluzione dei tempi, poiché ovviamente, fino a pochi decenni fa, gli aerei non esistevano. È abbastanza raro tuttavia, che diventi impedente o limitante, poiché spesso rimane isolata, senza condurre a forme generalizzate di disturbo da panico.
Ci sono persone che vivono costantemente con la paura di poter perdere le figure più importanti della loro vita.
In questi casi, il soggetto sente come insopportabile l’idea di potersi separare dalle persone che ama e questo lo rende insicuro e vulnerabile, a volte, insopportabilmente oppressivo e morboso.
La persona spesso costruisce dei rapporti affettivi asfissianti e ansiogeni con il proprio partner o i propri figli, nell’intento di proteggerli o di essere protetto. Specialmente nei confronti di questi ultimi, tale modalità di relazione potrebbe anche portare a conseguenze assai dannose, poiché potrebbe condurre all’emergere nei bambini di vere e proprie sintomatologie fobiche, derivanti dall’eccesso di protezione, che fanno vivere il mondo e la gente fuori dalla famiglia come davvero pericolosi.
Per fare alcuni esempi, al giorno d’oggi è normale che anche bambini molto piccoli possiedano un telefono cellulare per poter chiamare i genitori in caso di necessità. Questo però, potrebbe anche condurli a rivolgersi al papà o alla mamma per affrontare qualsiasi tipo di problema, rendendoli dipendenti e incapaci di affrontare da soli le difficoltà della vita.
Una persona che vive nel terrore di essere abbandonata dal proprio partner poi, finirà per diventare nei suoi confronti così assillante da renderlo scontento, inducendolo a rivolgere gli occhi altrove per costruire un legame più stimolante e appagante.
Per dirla con le parole di Giorgio Nardone (2003): “Ancora una volta il tentativo di ridurre la paura patologica finisce per aumentarla o, come in questi casi relazionali, per realizzare proprio ciò che era più temuto”.
La zoofobia, ovvero la paura esasperata indotta dall’incontro con certi animali, rappresenta la più chiara espressione dell’evoluzione delle fobie in conseguenza di cambiamenti socioambientali.
La vita cittadina ha infatti portato con sé nuove forme di zoofobia, rivolte ad esempio ai piccioni, ai ratti (musofobia) e ai cani (cinofobia).
In particolare, quella dei piccioni sembra, negli ultimi anni, una monofobia fortemente in crescita.
Anche se questi ultimi sono animali innocui infatti, si incontrano molto spesso in città e di loro sembra spaventare l’assoluta imprevedibilità dei movimenti e la possibilità di contrarre malattie. Il fatto che si avvicinino tranquillamente all’uomo poi, provoca in chi li teme la sensazione di essere perseguitato.
Appare invece del tutto immutata l’atavica paura dell’aggressione da parte di insetti (entomofobia). Per questi ultimi, i cambiamenti ambientali sono risultati vantaggiosi e il loro numero si è fortemente incrementato negli ultimi anni.
Fortunatamente, le zoofobie tendono a rimanere forme di paura che solo raramente si trasformano in patologie invalidanti.
Altre monofobie, oggi decisamente molto comuni, sono quelle relative all’altezza (acrofobia), ai luoghi chiusi (claustrofobia), al rimanere soli o allontanarsi da luoghi considerati sicuri (agorafobia). Queste ultime in particolare, poiché riguardano situazioni di vita molto usuali, tendono spesso a trasformarsi in fobie generalizzate.
Quando giunge a questo livello, la paura diventa per la persona una sorta di fascio di luce con la quale illumina tutto ciò che percepisce, e ciò che la fa stare male è proprio l’innescarsi di tutte le usuali reazioni fisiologiche che accompagnano il panico: tachicardia, vertigini, respirazione affannosa, senso di perdita di controllo ecc.
Altre monofobie, non così comuni, ma assai diffuse tra la popolazione sono:
«L’evitamento genera la paura e impedisce la conoscenza».
Chiara Ratto
In caso di monofobia, la tentata soluzione principale, adottata dalla persona per risolvere il problema, ma che in realtà lo fa peggiorare ulteriormente, è quella dell’evitamento.
Anche se il soggetto riuscirà a vivere la propria quotidianità serenamente, il continuare a non affrontare l’oggetto della sua paura lo renderà ancora più terribile e oscuro. Del resto, come già sostenevano gli antichi, sono spesso le cose che non conosciamo ad incuterci più timore.
A questo proposito, vi voglio raccontare una piccola favola, ancora una volta di Esopo: una volpe che non aveva mai visto un leone, quando per caso ne incontrò uno, la prima volta, vedendolo, si sconvolse tanto, che quasi morì. Ed essendosi imbattuta in lui per la seconda volta, si spaventò sì, ma non così come la volta precedente. Ed avendolo visto per la terza volta, fu così spavalda che addirittura avvicinatasi a lui gli rivolse la parola.
Questo racconto dimostra come sia a volte la mancanza di conoscenza a spaventarci, mentre invece, l’abitudine possa “rendere tollerabili anche le cose più spaventose”.
Potrebbe accadere che una persona riesca quasi totalmente a tenere lontano dalla sua quotidianità la situazione temuta. A volte però, accadono nella sua vita alcuni cambiamenti che la costringono in qualche modo a “fare i conti” con l’oggetto della propria paura, ed è proprio in questi casi che il panico compare con tutta la sua forza, portando la persona a rivolgersi ad uno specialista.
Come diceva Emil Cioran: “Ci si rovina per saggezza”. Infatti, molti degli individui che soffrono di monofobie non sono stupidi, anzi, spesso è proprio la loro intelligenza a renderne difficile il trattamento, poiché, come è ben noto, più una persona è intelligente e meno è capace di cambiare le proprie strategie d’azione, anche quando si rivelano controproducenti.
Nel trattamento delle monofobie, per eliminare la tentata soluzione dell’evitamento, così radicata nel tempo, il livello di intervento più importante, da un punto di vista strategico, è la tecnica che viene utilizzata.
Poiché queste paure sono irrazionali, richiedono un intervento terapeutico che ne ricalchi la struttura, basato sul provocare cambiamenti dapprima inconsapevoli e, solo successivamente, coscienti.
Con questa tipologia di pazienti, verranno pertanto utilizzate manovre indirette, basate sull’antico stratagemma di “solcare il mare all’insaputa del cielo”, prescritte attraverso un linguaggio ipnotico e suggestivo.
Una delle indicazioni maggiormente usate nel trattamento delle monofobie, è lo studio del nemico, detta anche avvicinamento progressivo, che consiste nell’esposizione graduale del paziente allo stimolo fobico.
In questi casi, si porta la persona ad avvicinarsi all’oggetto della sua paura fino a quando se la sente, misurando il suo limite, cosa che la farà sentire rassicurata, mentre inizierà a correre dei piccoli rischi.
Affrontare volontariamente e gradualmente gli oggetti che ci incutono paura è da sempre una strategia conosciuta per superare i propri timori, piccoli o grandi che siano.
Ad esempio, ad una persona che ha paura dei cani, si potrebbe dire: “Da qui alla prossima volta che ci vedremo, io vorrei che tu mi misurassi effettivamente a quale distanza da un cane inizi ad avere paura… Per fare questo, ogni giorno uscirai di casa e, ogni volta che vedrai un cane, ti avvicinerai fino al limite nel quale incomincerai a sentire la paura e, a quel punto, ti fermerai… Vorrei che tu facessi questo esperimento tutti i giorni per misurare il tuo limite”.
Il fobico inoltre, ha bisogno di trovare nel terapeuta una guida sicura, una persona competente e capace.
Per questo egli non dovrà essere eccessivamente protettivo, ma al contrario impostare una relazione basata sulla direttività, entrando in contatto con le sensazioni del paziente, attraverso domande che gli facciano “sentire” che comprende perfettamente ciò che lui prova.
Questa possibilità è data, in Terapia Breve Strategica, dal dialogo strategico e dalle cosiddette domande ad illusione di alternativa (Nardone, Salvini, 2004), attraverso le quali il terapeuta in qualche modo anticipa le reazioni del paziente nei confronti del problema, trasmettendogli l’idea di essere un “esperto”, un “tecnico” del settore e, contemporaneamente, facendolo sentire compreso e accolto.
«La paura è la più primitiva tra le nostre emozioni e, quando raggiunge i suoi estremi, è la più concreta e reale di tutte le sensazioni, capace di coinvolgere mente e corpo in una sequenza reattiva così rapida da anticipare qualunque pensiero…»
Per approfondire ulteriormente il tema delle monofobie e del loro trattamento in Terapia Breve Strategica, un libro che vi consiglio vivamente di leggere è “Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico” (Milano, Ponte alle Grazie, 2003).
Si tratta di un testo imperdibile, in cui Giorgio Nardone spiega in modo chiaro e accessibile le conoscenze attuali sui meccanismi delle patologie da panico e, soprattutto, la terapia che si è dimostrata concretamente efficace e rapida per il loro trattamento.
La descrizione delle storie terapeutiche, poiché rivolta al grande pubblico, è in forma narrativa e, tra i tanti esempi, vi potrete trovare un caso riguardante il panico d’aereo ed un altro relativo alla paura dei piccioni.
Un libro più recente, sempre di Giorgio Nardone, è “Il libro delle fobie e la loro cura” (Milano, Ponte Alle Grazie, 2023), nel quale l’autore, dopo aver elencato le diverse forme in cui il disturbo fobico si manifesta e averne spiegato i meccanismi fondamentali, propone una serie di casi tratti dall’esperienza terapeutica condotta presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo. A questo link puoi anche trovare la diretta Facebook del 6 novembre 2023 in cui Giorgio Nardone presenta questo testo.
Per approfondire ulteriormente questo tema, puoi anche guardare una mia intervista all’interno del ciclo “Esperienze strategiche”, insieme alla collega Cristina di Loreto, riguardante le forme di monofobia più comuni, o leggere questo interessante articolo di Emanuela Muriana, psicologa e psicoterapeuta selezionata del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, intitolato “Fobia: il volto patologico della paura”.