Psicopillole: come coniugare psicofarmaci e terapia psicologica

Psicopillole

«La ricerca medica ha fatto tali e tanti passi avanti che quasi quasi non ci sono più persone sane».

Aldous Huxley

 

Il cervello è qualcosa di troppo complesso per essere compreso, per questo non è possibile, come per le malattie organiche, formulare delle diagnosi riguardanti disturbi psicologici basate su inconfutabili parametri biologici, ma solo su giudizi soggettivi.

Oggi tuttavia, si tende a patologizzare qualunque forma di disagio e anche persone che vivono normali periodi di tristezza, ad esempio dopo un lutto, vengono spesso “etichettate” come depresse.

La felicità non è un diritto, ma una conquista continua, eppure l’aspettativa comune sembra quella di essere felici a tutti i costi, perché altrimenti vuol dire che non siamo “normali”, che siamo “malati”.

Tutto ciò naturalmente fa sì che gli psicofarmaci vengano prescritti con estrema facilità e leggerezza, anche da parte di medici non specializzati in psichiatria.

Gli psicofarmaci non sempre servono, anzi, spesso sono dannosi, in ogni caso bisognerebbe conoscerli e somministrarli con cautela, visti i considerevoli effetti collaterali.

Poiché inoltre, come si sa, la guarigione passa solamente attraverso cambiamenti concreti nella vita della persona, gli psicofarmaci da soli non possono bastare, ma vanno necessariamente integrati con una psicoterapia, meglio se di breve durata.

 

Psicofarmaci: il boom di prescrizioni negli ultimi anni

Attualmente, in Italia, 12 milioni di persone assumono psicofarmaci, con una spesa di circa 3 miliardi e 300 milioni di euro l’anno.

Gli psicofarmaci vengono prescritti indiscriminatamente e a tutte le età, anche a bambini e adolescenti, per affrontare qualsiasi tipo di problema psicologico, dal disagio più lieve fino a quadri clinici importanti.

Per quanto possa sembrare assurdo, si dice che oggi si muoia più per abuso di psicofarmaci prescritti legalmente che per eroina.

Gli antidepressivi sono in genere i più utilizzati, seguiti dagli ansiolitici e dagli ipnotici.

Non  è scientificamente dimostrato che gli psicofarmaci agiscano su presunti squilibri biochimici del cervello, anzi, da un punto di vista psicologico, sembra che il fatto di aspettarsi che i farmaci diano effettivamente sollievo costituisca una parte fondamentale nella risposta positiva che ad essi si produce.

Tanto più è lunga la durata del trattamento inoltre, tanto maggiore è la probabilità di avere delle ricadute, che porteranno ad una nuova somministrazione di psicofarmaci, fino alla cronicizzazione del disturbo.

 

Usare in modo etico e strategico gli psicofarmaci

Se volessimo tornare all’antica saggezza di Ippocrate, similia similibus curantur, le cose simili si curano con le cose simili, se un problema si genera a livello relazionale, dovrebbe essere curato al medesimo livello. Se al contrario è generato a livello neurologico, il trattamento privilegiato dovrà essere di tipo farmacologico.

All’interno del libro, rivolto al largo pubblico, “Psicopillole: per un uso etico e strategico dei farmaci” (Milano, Ponte alle Grazie, 2017), uno psichiatra e una psicologa, Alberto Caputo e Roberta Milanese, in una perfetta “armonia delle parti”, ci aiutano a fare chiarezza, spiegandoci come gli psicofarmaci possano essere utilizzati in maniera corretta a seconda del tipo di problema presentato dal paziente.

Un testo coraggioso, ma anche molto rigoroso dal punto di vista scientifico, che non può assolutamente mancare nella cassetta degli attrezzi dello psicologo. Una mappa indispensabile per permettere a chiunque di decidere efficacemente riguardo alla propria salute.

L’obiettivo che i due autori si propongono infatti, è quello di rispondere ad alcuni importanti interrogativi:

– è vero che i disturbi mentali sono malattie del cervello?

– che cosa sappiamo della genetica di questi disturbi?

– come funzionano gli psicofarmaci?

– chi ha bisogno di prendere psicofarmaci?

– chi non dovrebbe assumere psicofarmaci?

– psicoterapia e farmaci sono modalità di intervento contrapposte?

– quale terapia è risultata la più efficace nei differenti tipi di disturbi psicologici?

Il quarto capitolo del libro è specificamente dedicato alla conoscenza degli psicofarmaci più “gettonati”, generalmente suddivisi in cinque grandi categorie: gli ansiolitici, gli ipnotici, gli antidepressivi, gli antipsicotici e gli stabilizzatori dell’umore.

In sintesi, è possibile affermare come terapie farmacologiche massicce producano spesso scarsi risultati sul disturbo da curare a fronte di notevoli effetti collaterali, che peggiorano ulteriormente la qualità della vita dei pazienti. Interventi di psicoterapia efficaci al contrario, danno dei risultati che si mantengono nel tempo.

Come ci spiega inoltre Roberta Milanese, in questa interessante intervista apparsa su RAI 3, la persona facendo ricorso agli psicofarmaci, per il cosiddetto “effetto stampella”, delega totalmente ad essi la gestione di un disturbo psicologico che avrebbe invece le risorse per affrontare e superare.

Si possono pertanto distinguere situazioni in cui lo psicofarmaco è la parte centrale della cura, come ad esempio la schizofrenia o la depressione maggiore, da altre in cui lo psicofarmaco non è solo superfluo, ma addirittura nocivo, come nel caso dei disturbi d’ansia o dei disturbi alimentari, in cui l’intervento d’elezione dovrebbe essere la psicoterapia.