Il trattamento del Disturbo Post Traumatico da Stress: ricollocare il passato nel passato

Disturbo post traumatico da stress

«Da quel momento in avanti ci saranno nella tua vita un ‘prima’ e un ‘dopo’.

Prima’ che capitasse questo evento probabilmente credevi che il mondo fosse giusto e che tutto avesse un significato.

‘Dopo’, di colpo, senti di non avere più il controllo della tua vita e di ciò che capita intorno a te».

Federica Cagnoni e Roberta Milanese

 

Terremoti, incidenti e calamità naturali sono eventi disastrosi, ma inevitabili nella vita dell’essere umano, eppure siamo convinti che, poiché siamo brave persone, non dovrebbe capitarci nulla di male.

Certo, sappiamo che le disgrazie succedono, ma pensiamo avvengano per gli altri, non per noi.

Quando però la morte o la malattia ci toccano da vicino, iniziamo a sentirci vulnerabili e il mondo non ci appare più così sicuro. Viviamo una sorta di “esperienza emozionale correttiva” negativa e, improvvisamente, tutte le nostre sicurezze crollano.

Da quel momento, non saremo mai più gli stessi.

Il filosofo francese Blaise Pascal, dopo un incidente in cui rischiò di cadere con i suoi cavalli nella Senna, manifestò negli anni a seguire una forma di disturbo con incubi ricorrenti, insonnia e flashback riguardanti il vuoto che si era impresso nella sua mente. Da questa esperienza, sembra sia nato uno dei suoi più famosi aforismi: “La natura ha paura del vuoto”.

In molti credono erroneamente che i più grossi traumi siano quelli di cui si è inconsapevoli, poiché accaduti in età infantile. In realtà, quelli più importanti sono la conseguenza di eventi improvvisi e inaspettati che avvengono in età adulta e che creano nella persona un momento di profonda rottura.

La parola greca “trauma” significa “ferita” e tale significato viene mantenuto in tutte le principali definizioni che possiamo trovare sui dizionari.

Sembra pertanto che ci si riferisca con questo termine sempre ad una sorta di lacerazione, dovuta ad un forte impatto a livello sia fisico che psichico.

Alcune volte, le persone sono naturalmente attrezzate nei confronti dello stress estremo che alcuni eventi provocano, altre però, accade che questi ultimi si fissino nella loro mente al punto da non abbandonarla più.

Ci troviamo così di fronte ad una delle patologie più comuni e invalidanti della nostra epoca: il Disturbo Post Traumatico da Stress.

La persona che soffre di questo disagio diventa prigioniera di un passato che continua a inondare il suo presente di paura, dolore e rabbia, impedendole di proseguire il suo cammino verso il futuro.

Quando si subisce un trauma infatti, si vive in continuo stato di allerta e si ha la sensazione che il pericolo sia sempre incombente. Si tende a non investire in progetti e attività che, in precedenza, sembravano importanti e si ha paura di tutte le nuove esperienze.

In altri termini, si è molto pessimisti e ci si aspetta dal domani solo negatività.

 

Una diagnosi descrittiva del Disturbo Post Traumatico da Stress

Secondo il DSM-5, il Disturbo Post Traumatico da Stress è una manifestazione psicopatologica di gravità consistente, spesso a lungo termine, con sintomi che appaiono in relazione con l’esposizione a un evento traumatico, che implichi un’esperienza di morte o di serio danno per la persona.

Molte esperienze traumatiche possono essere definite come eventi stressanti. Esse includono sia esperienze dirette che eventi di cui si è stati testimoni, così come il semplice venire a conoscenza di eventi occorsi ad altri.

Tra i sintomi di questo disturbo, si possono in particolare riscontrare:

  • Flashback: la persona presenta ricordi ricorrenti e intrusivi dell’evento traumatico
  • Incubi, che possono far rivivere l’esperienza traumatica durante il sonno in maniera molto vivida
  • Ottundimento: stato di stordimento e confusione, con riduzione della reattività verso il mondo esterno
  • Evitamento: la persona si sforza volontariamente di evitare pensieri, sentimenti o conversazioni in qualche modo riconducibili all’esperienza traumatica
  • Hyperarousal, caratterizzato da insonnia, irritabilità, ansia, aggressività e tensione generalizzata

In alcuni casi, la persona colpita da Disturbo Post Traumatico da Stress cerca sollievo abusando di alcol, droga o psicofarmaci e spesso prova un senso di colpa esagerato rispetto al reale svolgimento dei fatti.

Le reazioni emotive tipiche legate a questo disturbo sono: forte angoscia, paura, orrore e senso di impotenza.

Si parla di Disturbo Acuto da Stress (e non di Disturbo Post Traumatico da Stress) se il quadro sintomatologico si manifesta entro quattro settimane dall’evento traumatico e si risolve entro un periodo di quattro settimane.

Un’altra distinzione va fatta anche tra Disturbo Post Traumatico da Stress e Disturbo dell’Adattamento. In quest’ultimo caso infatti, l’evento stressante potrebbe essere di qualunque entità, senza avere necessariamente un carattere “estremo”. In questi casi, il problema potrebbe originarsi anche da un trasloco, un licenziamento o un abbandono amoroso.

 

Le tentate soluzioni fallimentari di chi soffre di Disturbo Post Traumatico da Stress

Poiché nel Disturbo Post Traumatico da Stress la causa originaria è nota, sembra che la possibilità di sviluppare o meno una patologia dipenda da come la persona reagisce nell’affrontare l’evento traumatico, ovvero da quelle che vengono definite le sue “tentate soluzioni” nei confronti del problema.

Le principali reazioni di chi soffre di un Disturbo Post Traumatico da Stress solitamente sono: cercare di controllare i propri pensieri e di cancellare i ricordi dolorosi legati all’esperienza traumatica, iniziare ad evitare tutte le situazioni associabili al trauma, oppure richiedere continuamente aiuto e rassicurazione agli altri per riuscire a dare un senso a quanto è accaduto.

In tutti questi casi, poiché la persona cerca in qualunque modo di distaccarsi dall’evento traumatico, si tratta di tentativi fallimentari rispetto alla soluzione del problema che, invece di migliorare la condizione psicologica del soggetto, la fanno peggiorare ulteriormente.

Come diceva Michel De Montagne infatti: “Niente fissa una cosa così intensamente nella memoria come il desiderio di dimenticarla”, per cui il cercare volontariamente di non pensare a qualcosa, ci porta inevitabilmente a pensarla ancora di più.

Il continuo evitamento di particolari situazioni inoltre, come avviene nella maggior parte dei disturbi fobici, porterà progressivamente ad incrementare, invece che a ridurre, il proprio senso di impotenza e di fragilità interiore e questo, inevitabilmente, condurrà ad un ulteriore aggravamento della patologia.

 

Ricollocare il passato nel passato: come guarire rapidamente dal Disturbo Post Traumatico da Stress

Chi giunge in terapia con un Disturbo Post Traumatico da Stress solitamente ha fretta di stare bene e di liberarsi dal proprio passato.

Inoltre, si tratta il più delle volte di pazienti che vorrebbero essere collaborativi, ma che non riescono a cambiare neanche in minima parte, poiché completamente paralizzati dal punto di vista emotivo.

Nei confronti del Disturbo Post Traumatico da Stress, i farmaci, inizialmente, potrebbero svolgere un importante ruolo di tamponamento di alcune reazioni, quali ansia generalizzata, insonnia, incapacità di concentrazione ecc., permettendo alla persona di riprendersi fisicamente e psicologicamente per affrontare la situazione in maniera funzionale.

La terapia farmacologica tuttavia, dovrebbe essere estremamente dosata nei modi e nei tempi e volta solamente a placare la reazione acuta, lasciando successivamente spazio al recupero spontaneo e ad un intervento di tipo psicologico.

Solitamente, la Terapia Breve Strategica non cerca di dare un significato alle esperienze passate della vita di una persona, ma quando questo passato sconfina continuamente nel presente, diventa necessario per il terapeuta orientarsi alla sua “ricollocazione”.

Negli ultimi anni, presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, è stato messo a punto, con ottimi risultati, un protocollo di trattamento del Disturbo Post Traumatico da Stress, il cui obiettivo è quello di aiutare le persone a sbloccare le risorse di cui sono naturalmente dotate e che l’evento traumatico ha temporaneamente paralizzato.

Tale intervento si serve di alcune tecniche specifiche e la principale di esse, poiché interviene direttamente sulla tentata soluzione basilare di chi soffre di Disturbo Post Traumatico da Stress (il cercare di non ricordare), è quella conosciuta con il nome di romanzo del trauma.

 

Il romanzo del trauma

Il paziente, attraverso questa manovra, viene invitato a mettere per iscritto, ogni giorno e nella maniera più dettagliata possibile, il racconto dell’evento traumatico.

Ogni giorno, dovrà ripercorrere, per iscritto, i momenti vissuti, fino a quando non sentirà di aver riportato tutto ciò che era necessario dire: “So che il compito che le darò le farà molto male, ma quando si tratta di un dolore, come diceva Robert Frost, l’unico modo per venirne fuori è passarci attraverso… Vorrei quindi che tutti i giorni lei prendesse carta e penna e mi narrasse quello che è successo, nei minimi dettagli… Ogni volta come se fosse la prima volta, riscriva la storia, evitando di rileggerla”.

La difficoltà maggiore per il terapeuta consiste, in questi casi, nel far accettare al paziente la prescrizione, ma se quest’ultimo riuscirà a rispettarla, subentrerà l’abituazione per cui finirà per sentirsi emotivamente distaccato da ciò che lo ha fatto soffrire.

Come recita una famosa frase di J. W. Von Goethe infatti: “Scrivere la storia è un modo per sbarazzarsi del passato” e la persona che scrive il proprio dolore ha modo di farlo defluire lasciandolo sulla carta.

Inoltre, cercando attivamente e quotidianamente i ricordi peggiori per trascriverli, il soggetto finirà per non viverli più come qualcosa di intrusivo e incontrollabile, bensì come qualcosa di gestibile, proprio perché ricercato volontariamente e non più subito.

Anche nel caso di traumi che lasciano una traccia indelebile nella nostra mente, è possibile intervenire attraverso una psicoterapia breve, la quale non ne può cancellare la memoria, ma ne ristruttura la percezione, facendo sì che ciò che è stato traumaticamente vissuto cessi di dilagare nel presente, impedendo lo svolgersi del futuro.

Se vuoi approfondire ulteriormente il tema degli effetti terapeutici della scrittura puoi leggere anche questo interessante articolo della collega Cristina Di Loreto.

 

Sviluppare resilienza traendo forza dalla propria sofferenza

Nietzsche, in un suo famoso aforisma, diceva: “Ciò che non mi uccide, mi rende più forte”.

Il trattamento del Disturbo Post Traumatico da Stress è un esempio di come il terapeuta strategico si focalizzi sul far emergere quella che è la resilienza della persona, ossia la capacità naturale degli esseri umani di reagire agli eventi traumatici.

Non si tratta solamente di saper resistere agli urti della vita, ma di riuscire ad essere flessibili e a ricostruire, a partire da eventi dolorosi, un equilibrio più funzionale, il che significa trasformare il trauma in opportunità, per riuscire a creare un futuro di speranza.

Viktor Frankl, psichiatra e filosofo austriaco, sviluppò il suo approccio terapeutico, la cosiddetta logoterapia, che lo rese famoso in tutto il mondo, proprio a partire dalla sua esperienza all’interno di un campo di concentramento.

Secondo Frankl, la sofferenza smette di essere tale solo quando acquista un significato e le persone che riescono in qualche modo a rileggere e a ridefinire gli eventi stressanti hanno maggiori probabilità di superarli con successo.

L’autore, in uno dei suoi passi più celebri all’interno del libro “Uno psicologo nei lager”, scrive: “Dal modo in cui un uomo accetta il suo ineluttabile destino e con questo destino tutta la sofferenza che gli viene inflitta, dal modo in cui un uomo prende su di sé la sofferenza come la sua croce, sorgono infinite possibilità di attribuire un significato alla vita, anche nei momenti più difficili, fino all’ultimo atto di esistenza”.

 

I miei consigli di lettura sul trattamento del Disturbo Post Traumatico da stress

 

Il trattamento del Disturbo Post Traumatico da Stress in terapia breve strategica

Un libro, riguardante il trattamento in Terapia Breve Strategica del Disturbo Post Traumatico da Stress, è stato scritto da Federica Cagnoni e Roberta Milanese e si chiama: “Cambiare il passato: superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica” (Milano, Ponte alle Grazie, 2009).

All’interno di questo testo, le due autrici inquadrano e descrivono da un punto di vista diagnostico il Disturbo Post Traumatico da Stress e forniscono indicazioni tecniche sul suo trattamento, attraverso la trascrizione di alcuni casi clinici riguardanti pazienti che hanno vissuto esperienze di incidenti, catastrofi, violenze e aggressioni.

Il terzo capitolo del libro è molto interessante poiché offre una descrizione del protocollo utilizzato in Terapia Breve Strategica per l’elaborazione del lutto, una ferita che, come tale, richiede un tempo adeguato di cicatrizzazione.

In questa sezione, viene riportata la tecnica della galleria dei ricordi, una manovra che permette alla persona di emanciparsi dal dolore e dalla rabbia, trattenendo dentro di sé le immagini belle legate alla persona amata.

L’ultima parte del testo presenta inoltre un confronto tra l’approccio strategico e altri modelli clinici che si occupano del trattamento del Disturbo Post Traumatico da Stress, come la terapia farmacologica, l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e il modello cognitivo-comportamentale.

Per un approfondimento, puoi anche guardare il video tratto dal 1^ Convegno Mondiale di Terapia Breve Strategica e Sistemica, in cui Roberta Milanese e Federica Cagnoni presentano il trattamento strategico del Disturbo Post Traumatico da Stress.

 

Esperienze di uno psicologo in campo di concentramento

Un libro psicologico veramente molto bello sul tema dell’olocausto è apparso nel 1946 e si intitola “Uno psicologo nei lager” (Milano, Ares).

L’autore, Viktor Frankl, è uno psichiatra e filosofo austriaco, che fece la tragica esperienza dei lager nazisti, dai quali scampò quasi per miracolo.

A quarant’anni, liberato dagli americani, una volta rientrato a Vienna, apprese dello sterminio di suo padre, di sua madre, di suo fratello e di sua moglie, che aveva sposato durante la guerra, e dettò in soli nove giorni questo libro.

Inizialmente, egli non voleva pubblicarlo con il suo nome, ma solo “con il suo numero”, per una sua avversione ad esibire le proprie esperienze personali, ma quando il testo fu completato, si convinse che una pubblicazione anonima gli avrebbe fatto perdere parte del suo valore.

Frankl offre un’analisi psicologica profonda delle fasi principali che i prigionieri hanno dovuto affrontare nei lager: la fase dell’accettazione del campo di concentramento, la fase della vita vera e propria nel lager e la fase successiva alla liberazione dal campo.

Tra le pagine più belle, vi sono quelle in cui l’autore evoca l’immagine della sua compagna, una giovane donna di ventiquattro anni, imprigionata anche lei in un campo di sterminio e della quale ignorava la sorte. La presenza di questa donna gli si imponeva in maniera tale, che il sapere se fosse ancora viva o morta perdeva di significato.

Nel descrivere la sua esperienza all’interno di un lager nazista, Frankl afferma come i fattori che maggiormente avevano contribuito alla sua sopravvivenza, in una condizione di stress estremo, erano stati darsi dei compiti, mantenere la speranza e la capacità di fare progetti per il futuro, ma soprattutto, usare l’immaginazione per entrare in un mondo parallelo e stabilire così una distanza di sicurezza tra  la propria mente e la vita reale.

E’ un testo “breve ma intenso”, che è riuscito a diventare bestseller in America ed è stato per ben quattro volte dichiarato “libro dell’anno” dall’università degli Stati Uniti.

Secondo Gordon W. Allport, che ne ha curato la prefazione all’edizione americana, l’autore insegna che, se vivere è sofferenza, sopravvivere è trovare il senso di questa sofferenza. Ognuno di noi dovrebbe scoprirlo da solo e accettare la responsabilità insita in questa risposta.

 

Come affrontare le difficoltà e uscirne rafforzati

Il costrutto di resilienza ha acquistato, negli ultimi anni, un ruolo importante in diversi ambiti, dall’economia all’ambiente, dalla sociologia alla psicologia.

Questa capacità non rappresenta una conseguenza di tratti di personalità, ma una caratteristica da acquisire con impegno e dedizione, nell’accogliere i nostri limiti e nel coltivare i nostri talenti.

All’interno del libro di Patrizia Meringolo e Moira Chiodini, con Giorgio Nardone, “Che le lacrime diventino perle: sviluppare la resilienza per trasformare le nostre ferite in opportunità” (Milano, Ponte alle Grazie, 2016), vengono dati alcuni suggerimenti pratici per sviluppare questa abilità, tra i quali assumersi la responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni, costruire nuove narrazioni per modificare gli eventi negativi, dare un significato alla propria sofferenza, saper utilizzare il senso dell’umorismo per prendere distanza dai problemi ecc.

All’interno di questo testo inoltre, vengono forniti dei consigli per i genitori su come comunicare con i propri figli in momenti di crisi, e viene anche spiegata molto bene l’importanza del proporre loro delle piccole sfide per accrescere il senso di autostima.

L’ultima parte del libro, a mio parere la più interessante, descrive le principali trappole e strategie della resilienza. Tra queste ultime, aspetti particolarmente significativi risultano la capacità di problem solving, in particolare di tipo creativo, e l’abilità di creare relazioni di supporto sociale.

Addestrarsi alla resilienza è possibile, accogliendo le proprie paure e trasformandole in risorse, inserendo, come vaccino contro il timore di sbagliare, dei piccoli errori nella propria attività, ma soprattutto accettando che, prima o poi, la vita ci metterà sicuramente i bastoni tra le ruote e, quando accadrà, dovremo essere preparati ad affrontare le avversità.

Se sei interessato ad approfondire ulteriormente questo tema, puoi guardare questa interessante intervista di Cristina di Loreto a Moira Chiodini e Patrizia Meringolo, apparsa sul gruppo Facebook “Libri di Giorgio Nardone” in occasione dell’emergenza Coronavirus 2020. Tra gli argomenti trattati, i contributi che l’approccio strategico può dare quando si parla di resilienza, le connessioni di quest’ultima con l’empowerment, la resilienza individuale e di comunità ecc.

 

L’arte come mezzo di elaborazione del trauma

“Nessun dettaglio della natura era troppo umile o troppo piccolo per lui, amava tutto della vita”.

Con le sue pennellate di colore, Van Gogh voleva trasmettere la luce e la potenza della natura e, attraverso la creatività, ha cercato di elaborare le proprie esperienze traumatiche.

Come infatti viene molto ben rappresentato in “Loving Vincent”, l’artista non si è mai sentito amato e accettato dai propri genitori. Utilizzava l’arte per riscattare se stesso e mettere la sua sofferenza a disposizione dell’umanità.

Questo film del 2016 é un piccolo giallo che ricostruisce gli ultimi momenti di vita del pittore, una vera e propria immersione nelle sue opere, 60.000 fotogrammi dipinti a mano da un gruppo di oltre cento artisti.

Tecnicamente ben fatto e molto elaborato, ve lo consiglio!

 

Bibliografia

  • American Psychiatric Association (2014): “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM-5”. Milano, Raffaello Cortina Editore.
  • Cagnoni, F. Milanese, R. (2009). “Cambiare il passato: superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”. Milano, Ponte alle Grazie.
  • Caputo, A. Milanese, R. (2017): “Psicopillole: per un uso etico e strategico dei farmaci”. Milano, Ponte alle Grazie.
  • Frankl, V. E. (1946). “Uno psicologo nei lager”. Milano, Ares.
  • Meringolo, P. Chiodini, M. (2016): “Che le lacrime diventino perle: sviluppare la resilienza per trasformare le nostre ferite in opportunità”. Milano, Ponte alle Grazie.
  • Nardone, G. Meringolo, P. Chiodini, M.: “La resilienza: quando l’essere umano trae forza dalle sue sventure”, in Psicologia contemporanea, maggio-giugno, 2017.