«Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato [c.c.2229] è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.
La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.
Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo».
Nuovo testo dell’articolo 348 cp a seguito della legge n.3/2018 – Lorenzin
Venerdì 16 marzo 2018, io e l’avvocato Emanuele Kohler abbiamo affrontato, all’interno del corso ECM “Tutela della professione in ambito clinico: norme, prassi e casi di studio”, il tema dell’articolo 348 del codice penale e di come le sue recenti modifiche, influiscano su chi compie reato di abuso della professione di psicologo.
Questo tema ha suscitato notevole interesse nei partecipanti ed è nata in me l’idea di scrivere questo articolo, nel quale troverete alcuni approfondimenti e tutte le novità che questa nuova normativa ha apportato, circa un mese fa, rispetto al passato.
La legge Lorenzin, oltre ad annoverare lo psicologo tra le professioni sanitarie, ha congiunto fra loro pena detentiva e pecuniaria inflitte a coloro che commettono reato di abuso professionale.
Il testo previgente dell’articolo 348 cp recitava infatti:
“Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516“.
Di fatto, questa versione passata dell’articolo comportava che le condotte di reato di abuso professionale venissero per lo più sanzionate con la sola pena pecuniaria, mentre la pena detentiva veniva eventualmente riservata solo alle condotte ritenute più gravi, per un massimo di sei mesi di reclusione.
Con il nuovo testo della legge invece, il soggetto giudicato responsabile di reato di abuso della professione avrà comminata sia la reclusione, da sei mesi a tre anni – il massimo edittale – sia la multa da € 10.000 a € 50.000 – importi di certo meno “simbolici” rispetto a quelli della legge precedente.
Vi è dunque un significativo innalzamento della pena, sia per la reclusione, sia per la multa in termini assoluti.
Prima della riforma, il deterrente consisteva principalmente nel pregiudizio che la natura penale della condanna comportava.
La pena infatti, di regola pecuniaria e di piccola entità, di per sé non rappresentava un valido deterrente, mentre l’unica vera sanzione temuta, per la condotta di abuso della professione, era costituita dall’iscrizione del segnalato nel casellario giudiziale.
A seguito della legge Lorenzin, chi compie un abuso professionale dovrà preoccuparsi anche dell’entità della pena, con concreto rischio, per le condotte più gravi e per i soggetti pregiudicati, di effettiva esecuzione della pena detentiva.
La condanna penale per reato di abuso della professione, comporta altre due sanzioni accessorie: la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono a commettere il reato.
La pubblicazione della sentenza è da ritenersi sia una pena accessoria che una condotta riparativa, ed è ordinata, su richiesta della parte civile, dal Giudice, il quale dovrà anche indicare i giornali e le modalità di pubblicazione.
La pubblicazione avverrà a spese del condannato e, se quest’ultimo non provvederà, potrà farlo la parte civile, con diritto di ripetizione delle spese dall’obbligato (art. 543 c.p.p.).
È ormai pacifico che gli Ordini professionali possano ritenersi parte danneggiata e dunque costituirsi parte civile nei procedimenti per esercizio abusivo della professione.
La pubblicazione della sentenza quindi, potrà divenire un prezioso strumento in mano agli Ordini nell’ambito della loro attività di contrasto all’esercizio abusivo e di tutela del titolo professionale.
La confisca delle cose pertinenti al reato rappresenta la seconda pena accessoria, ma anche una misura di sicurezza volta ad impedire la reiterazione della condotta delittuosa da parte del colpevole.
La portata di tale misura può essere di notevole entità: si pensi, ad esempio, alla confisca dell’immobile di proprietà dell’abusivo adibito a studio professionale.
Tale conseguenza della condanna può costituire un deterrente anche più efficace della stessa pena principale.
Questa ulteriore sanzione accessoria è rivolta a quei soggetti professionisti, regolarmente autorizzati a esercitare una determinata professione, che non rispettando i limiti della propria abilitazione, abbiano commesso reato di esercizio abusivo della professione.
Tale contesto può essere sia intra-professionale che inter-professionale.
Uno psicologo che, ad esempio, esercita la psicoterapia senza la necessaria abilitazione, commette un abuso della professione di psicoterapeuta e rischia, oltre alla condanna penale, l’interdizione da uno a tre anni dalla professione che regolarmente esercita.
Un medico, non abilitato alla psicoterapia, condannato per aver esercitato tale attività professionale, dovrà ricevere la stessa sanzione dal proprio Ordine professionale.
Chi determina qualcuno a commettere un reato di abuso di professione verrà punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 15.000 a euro 75.000.
Il Legislatore ha voluto in questo modo gravare un professionista iscritto ad un albo di ulteriori conseguenze sanzionatorie rispetto al semplice cittadino.
Il comma 3 dell’art. 348 c.p., con questa nuova formulazione, attribuisce infatti pene più gravi per il soggetto regolarmente abilitato che abbia determinato in altri la volontà di commettere il delitto di abusivo esercizio della professione.
Per fare un esempio, lo psicologo, regolarmente abilitato, che convince un soggetto non abilitato a svolgere atti tipici della professione, magari nell’ambito di un rapporto di collaborazione, sarà punito più severamente rispetto a chi ha posto in essere la condotta di esercizio abusivo.
Tale norma potrebbe assumere risvolti significativi nel contesto dei tirocini.
Con questa riforma infatti, il tutor psicologo assume una maggiore responsabilità col proprio ruolo, rischiando conseguenze sia penali, sia disciplinari, qualora induca un proprio tirocinante a svolgere atti non consentiti.
In ogni caso, la finalità di questa norma non è quella di voler responsabilizzare oltre modo l’ambito del tirocinio, ma di punire ancora più gravemente quei professionisti che non solo non svolgano azioni di contrasto all’esercizio abusivo della professione, ma che addirittura lo favoriscano.
Una sostanziale differenza tra le professioni non regolamentate e quelle organizzate in ordini o collegi è costituita dalla tutela penale.
Infatti, uno dei compiti istituzionali di un ordine regionale, o provinciale, è quello della tutela del titolo professionale, attraverso attività volte ad impedire l’esercizio abusivo della professione.
Da maggio 2014, faccio parte in qualità di Consigliere dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, della Commissione Tutela, la prima ad essere stata istituita su tutto il territorio nazionale.
La Commissione è coordinata dal Presidente ed è formata da tre Consiglieri insieme a un avvocato penalista.
In genere, viene convocata due volte al mese per assolvere ai compiti che le vengono demandati dal Consiglio dell’Ordine e che sono raccolti in un regolamento ufficiale.
Tra le sue funzioni principali, vi sono quelle di accogliere le segnalazioni di colleghi e cittadini, verificare la sussistenza dell’abuso di esercizio della professione di psicologo, rispondere a quesiti di colleghi in materia di tutela e favorire la conoscenza rispetto a questa materia, anche all’interno della cittadinanza.
La Commissione Tutela in Lombardia, in particolare, si sta attualmente occupando anche di organizzare incontri con esperti per l’individuazione e la categorizzazione degli atti tipici della professione di psicologo, ma soprattutto, di cercare di promuovere il più possibile la cultura psicologica e le sue specifiche aree di intervento.